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Limiti Della Pianificazione Strategica

La pianificazione strategica nasce da una serie di fasi che portano a delle decisioni molto formalizzate e ben definite.

Infatti, molti studiosi definiscono la pianificazione strategica come qualcosa di altamente razionale: il prodotto dell’azienda (l’output) deve essere in grado di poter collegare il presente al futuro in modo da poter raggiungere in modo preciso gli obiettivi che ci si era prefissati. Questo modo d’agire aziendale viene visto con grande attenzione e trattato con enfasi perché si crede possa avere dei benefici significativi sull’attività aziendale.

Proprio la razionalità sopracitata sembrerebbe essere alla base dell’intero processo e dal rispetto della stessa derivano i processi. Soltanto definendo uno per uno, per ciascun ramo aziendale, i compiti in modo che siano coerenti ed integrati tra loro si può raggiungere l’obiettivo e si ha il controllo dell’intera azienda. Ne consegue che la pianificazione strategica serve anche a coordinare e controllare l’azienda.

Dunque, se la pianificazione avviene in modo razionale anche il risultato dell’attività aziendale stessa dovrà esserlo. Il limite sta nel fatto che i documenti che si producono in fase di pianificazione sono statici, definiti a priori e non modificabili in corso d’opera. Ne consegue una rigidità di fondo che non può essere modificata in base alla concorrenza del mercato. Per questo motivo il primo limite della pianificazione strategica risiede proprio nell’impossibilità di modificare il piano in corso d’opera soprattutto in relazione a quelli che sono gli attuali scenari competitivi, caratterizzati da un mercato e da aziende che vi operano estremamente fluttuanti e in movimento. Una tale pianificazione, infatti, non è in grado di prendere in considerazione gli imprevisti strategici che sono possibili e frequenti. Questa dinamicità può essere per così dire, controllata soltanto attraverso un comportamento adattivo dell’azienda. Non è possibile che una pianificazione razionale possa prevedere tutti i cambiamenti che possono avvenire nell’ambiente che circonda l’impresa. La pianificazione strategica si limita, infatti, a sintetizzare quelli che potrebbero essere gli eventuali imprevisti facendo delle previsioni. Una regola che affonda le sue radici in un momento storico in cui i mercati non erano come quelli attuali e, in particolar modo, non globalizzati. Risulta estremamente difficile prevedere quelli che potrebbero essere gli imprevisti in un’azienda che opera sull’intero pianeta. I mercati hanno iniziato a modificarsi negli ultimi dieci anni perciò una tale tipologia di pianificazione potrebbe risultare obsoleta e difficilmente applicabile. Diventa impossibile prevedere il medio-lungo periodo senza sbagliare. Addirittura, anche le previsioni relative al breve periodo hanno un ampio margine d’errore.

Sono quattro le situazioni possibili che impediscono di poter condurre queste previsioni. La prima risiede in diverse problematiche che chiameremo complessità di calcolo:

computazionale (o algoritmica) riguarda l’intrattabilità di alcune problematiche (nome tratto dalla computer science e dalla matematica). Ne consegue che questo genere di problemi non hanno un algoritmo che possa risolverle (massimizzarle) in tempi validi ma ci vorrebbero tempi lunghi. La questione si aggrava quando vengono prese in considerazione le macchine non banali (MNB) come, ad esempio, le persone fisiche o i clienti. Infatti, le MNB possono assumere diversi stati (ad esempio stati d’animo: soddisfatto, insoddisfatto, felice, triste, e via dicendo) non facilmente prevedibili come invece avviene nelle macchine banali che possiedono un solo stato interno. Ambienti, concorrenti e aziende sono delle vere e proprie MNB. Il limite trans-computazionale (10^100) indica la soglia oltre cui anche il computer più moderno non potrebbe risolvere il problema.
caotica che in un sistema non lineare, si riferisce alla situazione in cui una modifica seppure lieve, è in grado di modificare le condizioni iniziali di molto con influenze anche su quelle finali. A risentirne anche l’ambiente, dinamico per natura.
semiotica ovvero la diversa percezione che i soggetti hanno di un evento.
e complessità di logica ovvero quella

relazionale che riguarda l’influenza reciproca che due soggetti hanno l’uno sull’altro quando interagiscono.
Ne deriva che, se un’azienda opera in un ambiente complesso non può mettere in campo un sistema di pianificazione troppo rigido perché poco adeguato. Con questo non vogliamo sottolinearne l’inefficacia totale ma soltanto che i sistemi dinamici non possono essere ricondotti a schemi rigidi di pensiero. Fatto sta che la pianificazione resta qualcosa di fondamentale per l’organizzazione ma bisogna valutare la sua elasticità.

Un altro limite della pianificazione strategica risiederebbe nel fatto che è poco interiorizzata dal management di linea. Infatti, il management non si sente particolarmente coinvolto nel processo che definisce la strategia perché non dovrebbe far altro che mettere in atto ciò che è stato deciso dalla struttura organizzativa. Il management, al contrario, dovrebbe interiorizzare le strategie facendole proprie. Ecco perché potrebbe succedere che a quanto pianificato non corrispondano poi azioni reali e sentite da parte del management. Questo perché le indicazioni sono state decise in alto e le tattiche che i manager di mezzo dovrebbero mettere in atto sono un po’ diverse. I manager dovrebbero essere resi più partecipi grazie ad azioni interconnesse e di modifica in corso d’opera. Cosa che non viene resa possibile dalla già indicata rigidità del piano. L’applicazione dello stesso finisce per diventare un qualcosa di automatico e razionale. Qualcosa potrebbe anche rimanere soltanto sulla carta senza trovare un riscontro nel reale ambiente dinamico in cui l’azienda opera. Talvolta, per troppa fedeltà al piano, ci si imbatte in una vera e propria resistenza al cambiamento che ostacola l’agire dinamico dell’organizzazione. Questo fenomeno si verifica soprattutto nelle aziende medio-piccole dove i sottoposti vedono le decisioni prese dall’alto come vere e proprie imposizioni. Il problema potrebbe essere aggirato coinvolgendo tutti i rami aziendali nel processo di pianificazione.

Tra gli altri limiti del piano è possibile annoverare la mancata attenzione all’aspetto motivazionale. Infatti, i piani vengono redatti in modo oggettivo senza tenere conto dei reali effetti motivazionali e psicologici. L’impostazione sottesa alla pianificazione strategica è dall’alto verso il basso. Sta ai vertici aggirare il problema dialogando e risolvendo i problemi con chi risiede alle fondamenta dell’organizzazione.

Parallelamente, la pianificazione strategica pone poca attenzione ai problemi di implementazione a livello operativo. Questo perché i vertici danno più importanza alla fase di pianificazione piuttosto che a quella di realizzazione. Vengono meno quelle che sono delle sinergie gestionali che sono alla base del successo di un’organizzazione. In fase di pianificazione, non possono essere analizzati tutti i problemi complessi, ma anche quelli più piccoli, che si verificano poi in fase operativa. Sulla carta sembra essere tutto valido ma al momento di mettere in campo la strategia sono molte le cose che potrebbero andare storto.

Tutti questi elementi fanno comprendere il perché del passaggio da una pianificazione di tipo strategico ad una gestione di tipo

Antonino Loggia © Riproduzione Riservata